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Patrizia
Deotto
Stanitsa Tèrskaja
L'illusione cosacca di una terra
(Verzegnis, ottobre 1944 - maggio 1945)
Gaspari editore - Udine 2005
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Prefazione di Marcello Flores
Nell'estate
del 1944 i partigiani delle Brigate Garibaldi e delle Brigate Osoppo,
dopo aver concluso diverse azioni belliche con successo e aver completamente
liberato da ogni presidio nemico un'estensione territoriale continua,
proclamano la "Zona libera della Repubblica della Carnia e Prealpi",
destinata a durare più di quattro mesi, fino ai primi di novembre.
Il territorio d'azione dell'Osoppo e della Garibaldi Friuli si estendeva
tra i fiumi Livenza e Isonzo, tra la Mauria e le Alpi Giulie, comprendendo
tutta la corrispondente zona pedemontana, oltre a tutta la Carnia eccetto
Tolmezzo, occupata dai tedeschi. La presenza di un movimento partigiano
così forte e massiccio (vi avevano aderito circa 2000 uomini) in
un territorio come il Friuli Venezia Giulia considerato dai tedeschi di
estrema rilevanza strategica in quanto da lì passava la seconda
linea di rifornimento e di sgombero con il mondo germanico: la linea ferroviaria
Villach-Udine che si snodava attraverso il valico di Coccau, costituiva
una seria minaccia per l'afflusso in Italia delle truppe del Terzo Reich.
I tedeschi cercarono di risolvere il problema ingrossando le file del
loro esercito con nuove forze per liquidare definitivamente il movimento
partigiano e prendere il controllo completo della regione.
Fu in quell'occasione che si rivelò efficace la risoluzione decretata
il 10 novembre 1943, da Alfred Rosenberg, ministro dei Territori orientali
occupati, e dal feldmaresciallo Wilhelm Keitel, comandante supremo della
Wermacht, con cui si prometteva ai cosacchi del Don, del Kuban e del Terek
la restituzione della loro patria come futura ricompensa per l'aiuto prestato
all'esercito tedesco durante la guerra, e si garantiva, qualora fosse
stato temporaneamente impossibile il rientro in Ucraina, l' insediamento
in una terra dove condurre un'esistenza autonoma nel pieno rispetto delle
tradizioni.
L'illusione cosacca di recuperare l'indipendenza dei tempi passati svanì
sotto i colpi dell'offensiva sovietica a Stalingrado, iniziata il 19 novembre
del 1942. Alla fine di gennaio del 1943 l'Armata Rossa riportò
la vittoria definitiva, costringendo l'esercito tedesco e chi li aveva
fiancheggiati a iniziare la ritirata verso occidente. Lungo la strada
si accodarono numerosi civili, intere famiglie con bambini che, caricate
in fretta e furia le poche masserizie, affidarono a quell'esercito in
fuga l'ultima fievole speranza di salvezza, alimentata nei mesi seguenti
dalla promessa di un rifugio in una terra simile a quella che avevano
lasciato.
Nell'estate del 1944 l'astratta promessa di una patria temporanea, solennemente
ratificata dalla già ricordata risoluzione Rosenberg-Keitel, assunse
i tratti concreti di un territorio geografico reale, la Carnia, prospettata
dai tedeschi come "Kosakenland in Nord Italien". Verso la fine
di luglio del 1944 alla stazione della Carnia, il paese che segna il confine
tra la regione omonima e il Friuli, cominciarono ad affluire i primi convogli
di cosacchi e di caucasici che dopo lunghe peregrinazioni al seguito dei
tedeschi in ritirata dal fronte orientale attraverso la Polonia, la Romania,
la Cecoslovacchia, l'Ungheria, l'Austria s'illudevano di aver raggiunto
la "terra promessa"; ne sarebbero arrivati circa 40.000. Un
numero considerevole se si pensa che la Carnia di allora contava 60.000
abitanti.
Sono questi gli eventi che fanno da sfondo agli episodi raccontati in
questa cronaca. Verzegnis è un comune della Carnia che dall'ottobre
del 1944 all'aprile del 1945 venne occupato dai cosacchi, reclutati dai
nazisti per le operazioni di rastrellamento e di rappresaglia contro il
movimento partigiano molto attivo nella regione. Numerosi paesi friulani
subirono in quei mesi la stessa sorte, ma la storia di Verzegnis appare
singolare per le situazioni anomale di cui è testimonianza. Il
fatto più eclatante si verificò nel febbraio del 1945 quando
il generale Pjotr Nikolaevic Krasnòv giunse, scortato da ufficiali
in alta uniforme, nel piccolo centro rurale e si stabilì alla locanda
"Stella d'oro" di Villa di Verzegnis dove rimase fino alla fine
della guerra.
Il generale Krasnòv, nato a Pietroburgo nel 1869, pluridecorato
al valor militare, è anche noto come pubblicista, autore di articoli
e saggi di argomento bellico, di memorie e di alcuni volumi tra cui il
famoso libro Dall'aquila imperiale alla bandiera rossa, pubblicato
a Berlino tra il 1922 e il 1923. Nel 1918 era stato eletto Atamano del
Grande Esercito del Don e alla guida della sua armata aveva combattuto
i bolscevichi durante la guerra civile in Russia. da cui era emigrato
nel 1920. Ora, nel 1945, insieme ai suoi fedelissimi aveva lasciato l'esilio
berlinese per dar man forte ai tedeschi, suoi alleati fin dai tempi delle
azioni belliche condotte nella primavera del 1918 contro l'Armata Rossa
a Rostov sul Don e nel territorio circostante.
Un altro particolare interessante è la tipologia degli occupanti
insediatisi a Verzegnis. A seguito della soldataglia cosacca che invase
i paesi del Basso e dell'Alto Friuli, arrivarono numerosi civili, tra
cui medici e artisti, e molte famiglie con bambini. Era un'umanità
eterogenea, costretta dalle circostanze alla fuga, aliena per lo più
da sentimenti ostili e animata da un'unica aspirazione: approdare in un
luogo tranquillo per ricominciare una nuova vita. A Verzegnis il numero
dei civili e delle famiglie era preponderante e questo contribuì
col passare dei mesi a smorzare le tensioni, ad allentare la paura suscitata
dalle imprevedibili reazioni degli occupanti, a contenerne l'arroganza
e a rendere meno problematica la convivenza forzata, favorendo addirittura
in alcuni casi rapporti discreti tra le famiglie cosacche e gli abitanti
del paese.
Nel corso della narrazione si è fatto soltanto un breve cenno agli
avvenimenti storici già indagati dagli addetti ai lavori, mentre
si è riservato ampio spazio alla ricostruzione della vita quotidiana
nelle quattro frazioni del Comune di Verzegnis (1800 abitanti), occupate
nell'ottobre del 1944 da 1567 cosacchi con al seguito 465 cavalli, 58
mucche e 20 cammelli e ribattezzate Stanitsa (villaggio cosacco) Térskaja.
Si è cercato di far rivivere le impressioni, i sentimenti, le difficoltà
degli abitanti del Comune costretti a una lunga convivenza forzata con
i cosacchi, alleati dei tedeschi e dei repubblichini, installatisi di
prepotenza nelle case. In ogni abitazione c'era almeno una stanza occupata
dai russi, così venivano genericamente chiamati gli occupanti,
che preferivano condividere il loro alloggio con gli italiani, perché
si sentivano più al sicuro, più protetti da eventuali incursioni
partigiane.
Le conversazioni con chi ha vissuto in prima persona quegli eventi costituiscono
la materia prima di questa cronaca suddivisa in 13 brevi capitoli che
trattano aspetti diversi della vita quotidiana a Verzegnis durante l'occupazione.
Alcuni capitoli riflettono l'impatto degli eventi bellici sul microcosmo
del Comune e ricostruiscono il clima di paura, di sospetto reciproco e
di tensione che da un momento all'altro poteva degenerare in atti violenti.
Vengono ricomposti episodi da cui emergono i sistemi di controllo messi
in atto dagli occupanti per timore degli attacchi partigiani: perquisizioni
notturne, coprifuoco, posti di blocco e lasciapassare scritti in russo,
obbligatori per gli spostamenti da una frazione all'altra del Comune o
più semplicemente per raggiungere i campi e i prati circostanti.
Gli altri capitoli, che sono la maggioranza, prendono spunto da situazioni
di vita quotidiana che coinvolgono per lo più la popolazione civile
italiana e cosacca: gli attriti per i furti di foraggio, le piccole furbizie
degli occupati e degli occupanti dettate dalla necessità di sopravvivere,
le funzioni religiose e i canti corali di inaudita bellezza, gli spacci
alimentari, il mondo quasi a parte delle donne e dei bambini, la solidarietà
tra popolazione e medici russi, i concerti dei musicisti e le parate in
cui abili cavallerizzi cosacchi si esibivano in spettacolari prodezze.
Attraverso questi episodi si è cercato di far emergere gli elementi
peculiari di una cultura diversa con cui gli abitanti di Verzegnis sono
stati costretti inaspettatamente a confrontarsi e i tentativi da entrambe
le parti di colmare le profonde differenze culturali, di rendersi disponibili,
dopo un'iniziale diffidenza, alla scoperta reciproca delle diverse abitudini
e modi di vivere.
L'ultimo capitolo è dedicato alla liberazione di Verzegnis e all'esodo
dei cosacchi il 2 maggio del 1945. Le truppe cosacche convogliate a Tolmezzo
cominciarono la ritirata verso il Passo di Monte Croce Carnico per raggiungere
la Carinzia. Si unirono ai caucasici, che occupavano i paesi dell'Alta
Carnia, e ai tedeschi in fuga. Gli scontri tra le formazioni partigiane
con cui i cosacchi non avevano ratificato nessuna resa, nonostante le
ripetute richieste in tal senso dei C.N.L. locali, e gli ex-occupanti
continuarono lungo tutto il percorso che portava verso il confine austriaco,
causando ancora diverse vittime da entrambe le parti.
Nella serata del 3 maggio, dopo aver superato faticosamente il Passo di
Monte Croce Carnico, ancora innevato, i cosacchi arrivarono nella vallata
della Drava e si accamparono nei pressi di Lienz, ignari della tragica
sorte a cui erano destinati. Il generale Krasnòv aveva deciso di
arrendersi agli inglesi che, gli sembrava, potessero garantire una certa
comprensione nei confronti dei cosacchi nonostante fossero alleati dei
nazisti. Questa congettura poggiava sul fatto che ai tempi della rivoluzione
russa i britannici avevano sostenuto la causa degli Eserciti bianchi.
Ma il generale Krasnòv aveva fatto male i suoi conti. Gli inglesi
erano interessati a far rientrare il più in fretta possibile i
propri prigionieri che si trovavano nei territori dell'Europa dell'Est
liberati dall'Armata rossa e a evitare che venissero utilizzati da Stalin
a fini politici; per questo motivo decisero di assecondare le richieste
inoltrate dal governo sovietico a Churchill il 10 febbraio 1945 a Yalta
e cioè di rimpatriare tutti i prigionieri sovietici detenuti all'Ovest.
Fu così che il 27 maggio gli inglesi tesero una trappola agli ufficiali
cosacchi: li convocarono per il giorno successivo a un sedicente convegno
con il Feldmaresciallo Alexander a Spittal. Gli ufficiali cosacchi indossarono
per l'occasione le divise di gala, ma quando arrivarono sul luogo, vennero
perquisiti, tradotti nel carcere della cittadina e la mattina del 29 maggio
caricati a forza sui camion per essere consegnati ai sovietici. Alcuni
tentarono di fuggire, ma furono uccisi, altri riuscirono a suicidarsi,
mentre la maggior parte fu caricata sui carri bestiame e all'arrivo in
Unione Sovietica fu spedita nei Gulag. I generali Pjotr Nikolaevic Krassnòv,
il colonnello Timofej Ivanovic Domanov, il tenente generale Andrei Grigorevic
kuro, il generale tedesco comandante Helmut von Pannowitz e altri
graduati vennero giustiziati a Mosca il 17 gennaio 1947.
Un destino ben più felice toccò invece alla maggior parte
dei "russi" rimasti in territorio italiano. Il fatto che l'Italia
si trovasse sotto il comando unificato americano e inglese rese le operazioni
di rimpatrio più complesse e meno sbrigative. Gli americani erano
più restii dei britannici a soddisfare le insistenti richieste
del governo sovietico riguardo ai "prigionieri", visto che i
10000 cosiddetti cittadini sovietici presenti sul territorio italiano
nel luglio del 1945 erano ucraini, per la maggior parte cittadini polacchi,
e dunque la loro restituzione ai sovietici sarebbe stata immotivata. Tra
i beneficiari di questa situazione di incertezza ci fu anche una ventina
di musicisti e artisti russi che non avevano seguito i cosacchi nell'esodo,
ma erano rimasti nel Comune fino all'8 maggio, quando accompagnati da
una lettera di raccomandazione del parroco furono raccolti dagli alleati
a Tolmezzo poi convogliati a Udine e quindi a un campo profughi alla periferia
di Roma, dove rimasero per due anni, fino al 1947. Alcuni riuscirono a
raggiungere i parenti in Brasile, mantennero i contatti con la famiglia
di Verzegnis da cui avevano vissuto e all'inizio degli anni Ottanta due
di loro fecero un viaggio in Italia per rivedere le persone e visitare
i luoghi dove avevano passato sei mesi intensi della loro esistenza.
* in aprile
2020 il libro è stato messo in vendita con il Messaggero
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